La letteratura araba è una contro-narrazione

Da quando il fenomeno dell’ISIS è esploso mediaticamente, andare in libreria è diventata una vera e propria tortura per me. Scaffali ed espositori infatti traboccano di libri sul cosiddetto gruppo Stato islamico e sul terrorismo internazionale di matrice jihadista.

Il rigurgito di titoli sull’ISIS si è ovviamente accentuato in occasione degli attentati di Parigi dello scorso anno, e in seguito agli attentati di Bruxelles. Qualche mese fa, alla libreria Borri Books della stazione Termini di Roma, facevano bella mostra di sé, nello scaffale dedicato all’attualità, una quindicina di titoli circa: Fuggita dall’ISIS, Islam. Siamo in guerra, Il califfato del terrore, Il libro nero del Califfato, ISIS. Il marketing dell’apocalisse, Fuga dal carcere della Jihad, etc. Nei punti Feltrinelli di Roma e Firenze, dopo gli attacchi alla redazione di Charlie Hebdo dello scorso anno, erano stati allestiti degli stand verticali, sotto l’insegna “Je suis Charlie”. Le parole più ricorrenti nei titoli libri inclusi nella selezione – Jihad, Islam, terrore, paura, guerra – rimandavano tutte ad un insieme semantico che accostava l’ISIS all’Islam e rappresentava quest’ultimo come una religione della paura, dai contorni mostruosi e inquietanti.

Negli ultimi tre anni sono stati pubblicati da case editrici italiane piccole, medie e grandi, decine di libri su questi argomenti. Gli autori di questi testi sono i più disparati: dallo storico italiano che si occupa di Medioevo, alla analista esperta di terrorismo internazionale; dal giornalista anglosassone e americano a quello italiano; dal testimone oculare (o presunto tale) delle atrocità del gruppo Stato islamico, all’ambasciatrice israeliana in Italia. E l’elenco comprende ancora Magdi Allam, noto islamofobo, e Maurizio Costanzo, non propriamente noto per essere un esperto di questioni internazionali o di terrorismo.

Due sono i punti in questione a mio parere: la maggior parte degli autori di questi pamphlet non ha alcun background accademico sui temi di cui scrive e ha una parziale e ridotta esperienza professionale e sul campo del contesto geografico, sociale e culturale di cui si occupa. I testi in questione, inoltre, che vorrebbero idealmente rappresentare un approfondimento dei fatti dell’attualità, finiscono per essere un’accozzaglia di stereotipi, sentiti dire, tesi islamofobe, se non copia e incolla di testi precedenti.

Maurizio Costanzo, il caso più lampante, è un presentatore e un esperto di televisione. Il suo libello dal titolo roboante Vi racconto l’ISIS, pubblicato da Mondadori, non è assolutamente un libro sull’ISIS. E’ l’autore stesso ad ammettere che lui di ISIS non ne sa niente, e quello che sa, appreso da blog, siti web e amici, lo condensa in due paginette alla fine del libro. Tutto quello che viene prima non è altro che una sorta di flusso di coscienza di Costanzo stesso che racconta ai lettori di quanto i fatti orribili di Parigi lo abbiano colpito e di come gli abbiano ricordato del fallito attentato ai suoi danni di qualche decennio fa.

Il primo dei due pamphlet su ISIS e Jihad di Maurizio Molinari, novello direttore de La Stampa, pubblicati entrambi nel 2015, è risultato invece essere un collage mal fatto di altri testi e un libro pieno di imprecisioni, pregiudizi e mistificazioni. Lo ha ben dimostrato e documentato il ricercatore della Brown University Nicola Perugini sul blog Il Lavoro culturale, in un articolo che è stato ampiamente condiviso.

L’ultimo in ordine di apparizione è Come spiegare l’ISIS ai bambini, il cui indice (che trovate qui) è tutto un programma.

Credo che questi instant book non ci raccontino l’ISIS, la Siria o il terrorismo internazionale. Ci raccontano quello che noi italiani, o meglio – i loro autori – hanno capito o pensano di ISIS, Islam, Siria e di terrorismo. Da un punto di vista sociologico sono dei documenti interessanti, perché da uno studio di tutte queste pagine emerge l’immagine di come la nostra attuale classe intellettuale e giornalistica guarda al Medio Oriente e alle dinamiche sociali, religiose e culturali di quell’area geografica. Questi libri, ancora una volta, ci dicono molto di più del modo in cui i i giornalisti e gli analisti italiani guardano l’Islam e il mondo arabo, di quanto ci dicano dell’oggetto dei loro discorsi.

Il problema è che fanno molto rumore, questi libri. Non aumentano la nostra conoscenza dell’argomento, bensì aumentano la confusione e diffondono pregiudizi e ignoranza, più o meno consapevolmente.

Quindi perché pubblicarli? Per un vezzo di vanità degli autori? Perché l’ISIS è l’argomento del momento e quindi gli editori vogliono approfittarne? Probabilmente si tratta di entrambe le cose.

Ma siamo così sicuri che i lettori italiani vogliano davvero leggere questa valanga di pagine mal assemblate?

Io credo di no, e credo che la gente si sia stufata di sentire sempre e solo una campana stonata, sul Medio Oriente. E per fortuna c’è un rimedio: una contro-narrazione che racconta il mondo arabo dal di dentro. Sì, sto parlando dei romanzi arabi, che non appiattiscono l’immagine del Medio Oriente sulla dimensione binaria fanatismo religioso/dispotismo politico.

E volendo restare in Medio Oriente sul tema di cui si occupano i libelli di cui sopra, di romanzi che parlano di integralismo religioso, regimi arabi corrotti e milizie armate ce ne sono diversi e di ben scritti (e tradotti).

In Elogio dell’odio, del siriano Khaled Khalifa (Bompiani, trad. di F. Prevedello), ambientato in Siria negli anni ’80, il tema dell’integralismo confessionale è affrontato attraverso lo sguardo di una giovane donna dalla identità confusa e incerta, che trova nell’aderenza ad una lettura radicale dell’Islam, e all’odio per i nemici di quell’Islam, la sua ragione di vita. Intorno a lei, intanto, l’odio instillato dal partito Baath al potere si propaga nella società siriana come un veleno pericolosissimo.

Il regime Baath, versante iracheno, è onnipresente anche nei terrificanti e gotici racconti dello scrittore Hassan Blasim (Il matto di piazza della Libertà, Il Sirente, trad. di B. Teresi) e nel romanzo disperato e apocalittico di Sinan Antoon (Rapsodia irachena, Feltrinelli, trad. di R. Ciucani), entrambi scrittori iracheni, in cui i cittadini protagonisti delle loro storie sono ugualmente vittime di terroristi, contrabbandieri di uomini e miliziani al potere.

E’ attraverso romanzo del libanese Jabbour Douaihy, San Giorgio guardava altrove (Feltrinelli, trad. di E. Bartuli), che facciamo la conoscenza con l’ottusità e la pericolosità delle milizie confessionali armate, che durante la guerra civile libanese infestavano Beirut e il Libano. A farne le spese nel romanzo è Nizam, giovane cristiano e musulmano, mentre nella realtà fu il Libano intero.

Di tutt’altro tenore la Siria e il Medio Oriente raccontati invece in Damasco, il nuovo romanzo della palestinese Suad Amiry (Feltrinelli, trad. di M. Nadotti). Tra fine Ottocento e inizio Novecento, la grande e affascinante capitale della Grande Siria, all’epoca provincia dell’Impero ottomano, si trovava al centro degli scambi commerciali tra Istanbul, Nablus, Gerusalemme e Beirut. In un’era dai confini nazionali porosissimi, le famiglie siriane avevano figli e nipoti sparsi ai quattro angoli del Medio Oriente, fili invisibili di una trama familiare e culturale ricchissima e vivacissima.

Ma non solo: il Medio Oriente all’epoca era collegato con l’Europa dal mitico Orient Express, che raccordava Istanbul a Parigi e Vienna, cuori dell’Europa continentale.

L’Orient Express oggi non esiste più: quel treno che faceva da collante tra l’Europa e il Medio Oriente, nato nel 1883, ha smesso di funzionare nel 1977 ed è stato definitivamente eliminato nel 2009. Oggi certo si può viaggiare con gli aerei, e si può ad esempio arrivare a Beirut in circa tre ore. Ma si può viaggiare anche leggendo e se c’è un mezzo che permette di creare un immaginario diverso e più ricco del Medio Oriente di oggi, di quello veicolato dalla saggistica italiana, è proprio quello della letteratura araba in traduzione.

[Saluti da Beirut, a proposito, dove mi troverete per i prossimi mesi]

In copertina: A Young Emir Studying, Osman Hamdi Bey, 1878 Oil on canvas – Louvre Abu Dhabi collection

 

5 commenti

  1. Articolo come sempre meraviglioso! Mi trovo d’accordo su tutto, ovviamente, anche sulla lista dei romanzi che suggerisci. Ho adorato il libro di Douaihy, San Giorgio guardava altrove e spero sempre che molta più gente possa venirne a conoscenza e leggerlo. Trovo scandaloso che una letteratura così vasta passi nell’oblio per colpa di un’islamofobia che aumenta ogni giorno di più. Solo questo può giustificare il trattamento della letteratura araba da noi… E quei libracci sull’isis ne sono una prova.

    In bocca al lupo a Beirut!

  2. utilissimo il tuo articolo per le ‘sfilate’ di presentazione di libri quanto meno approssimativi…qualche volta veramente pericolosi. Buona permanenza nella mia amatissima Beiruth. Carla

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