Interno damasceno

La settimana prossima torna a Roma la scrittrice e architetta palestinese Suad Amiry per presentare il suo nuovo romanzo Damasco, appena uscito per Feltrinelli. 

Ho letto il libro e ne ho parlato per Q Code Magazine qualche giorno fa:

Damasco (Feltrinelli 2016, cura e traduzione dall’inglese di M. Nadotti) è l’ultimo libro di Suad Amiry, scrittrice e architetta palestinese già autrice di libri diventati molto noti al pubblico italiano, come Niente sesso in città o Sharon e mia suocera. Suad Amiry non è propriamente un’autrice di fiction, cioè di opere di finzione narrativa: il suo genere oscilla tra l’autobiografia e la cronaca, il tutto condito da una buona dose di autoironia. Nei suoi libri ci racconta della sua vita in Palestina e delle mille difficoltà quotidiane che vivere in quella parte di mondo comporta. Ci è voluta molta ironia ad esempio nel paragonare l’assedio israeliano a Ramallah del 2003 con il contemporaneo assedio imposto all’autrice dalla terribile suocera, come ha raccontato in Sharon e mia suocera. “La Palestina ci assedia, ci occupa”, ha detto un giorno nel corso di un incontro pubblico, chiedendo a noi – e a se stessa – quando questo assedio sarebbe finito una buona volta, e quando i palestinesi sarebbero potuti tornare a condurre una vita “normale”.

Ma Suad Amiry in realtà è nata a Damasco, da una madre siriana (figlia di padre siriano e madre palestinese) e un padre palestinese. Ed è a Damasco, e alla storia della famiglia Baroudi, la famiglia materna, che l’autrice ha dedicato la sua ultima fatica letteraria.

I primi capitoli di Damasco sono un grande e prezioso affresco sulla vita del Levante arabo di inizio Novecento. Tra fine Ottocento e inizio Novecento, la grande e affascinante capitale della Grande Siria, all’epoca provincia dell’Impero ottomano, si trovava al centro degli scambi commerciali tra Istanbul, Nablus, Gerusalemme e Beirut. In un’era dai confini nazionali porosissimi, le famiglie siriane avevano figli e nipoti sparsi ai quattro angoli del Medio Oriente, fili invisibili di una trama familiare e culturale ricchissima e vivacissima. Era quindi stato possibile per la famiglia di Teta, giovane palestinese allora quattordicenne, farla sposare con Jiddo, l’affascinante e ricco mercante damasceno molto più grande di lei, venuto con cammelli e mercanzie da Damasco nel villaggio palestinese di ‘Arrabeh, per conoscere la famiglia della futura sposa.

È così la giovanissima Teta si era trasferita a Damasco, nella città vecchia, nel palazzo della famiglia Baroudi, meraviglioso capolavoro di architettura damascena, dai grandi e ariosi cortili e arredato da eleganti mobili intarsiati. A Palazzo Baroudi ogni venerdì la famiglia allargata si riuniva per la Grande Bouffe, un pranzo ricchissimo e succulento composto da decine di piatti della tradizione gastronomica levantina. Ma la famiglia Baroudi, come ogni grande famiglia che si rispetti, nascondeva anche segreti e piccole invidie: come l’omosessualità di una zia da nascondere, l’infedeltà di Jiddo, o l’adozione, non proprio regolare, di una bimba abbandonata dai suoi genitori biologici.

Per continuare a leggere l’articolo, cliccate qui.

Per trovare invece Suad Amiry:

28 giugno, ore 21 @Festival delle Letteratura/Basilica di Massenzio, Clivo di Venere Felice

29 giugno, ore 19 @Casetta Rossa (Testaccio), con POP Palestine & Assopace Palestina

Se avete letto il libro, ditemi cosa ne pensate nei commenti a questo post!

[Foto di copertina presa qui]

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