Café Rawda, lo “spirito” di Beirut

Di solito non amo quegli articoli che raccontano di negozi, angoli e caffè che incarnano lo spirito delle città. Dopotutto, come fa un solo posto a rappresentare un’intera città? 

Se si trattasse di Roma, ad esempio, non saprei dire quale caffè o ristorante possano assurgere a simbolo della città. So che ogni quartiere ha il suo posto, e probabilmente gli abitanti di Trastevere diranno che è il Bar Callisto, mentre quelli di Prati potrebbero menzionare il vecchio Giolitti, ora sostituito da un caffè alla moda hipster che si ispira al Giolitti che fu.

Ma Beirut, editoriaraba? Ecco, infatti, Beirut. Perché ho definito nel titolo il Café Rawda lo “spirito” di Beirut? Bene, non sono io a parlarne in realtà. Sul numero di maggio – giugno di Brownbook, la rivista che si occupa di cultura e società di Medio Oriente e Nord Africa, c’è un bell’articolo dedicato a questo caffè beirutino affacciato sul mare, simbolo non solo della vita culturale della città, ma anche della Beirut di un tempo, quella prima della guerra.

È il 1935 quando Zakaria Chatila decide di aprire una piccola caffetteria a Ras Beirut lungo la corniche:

“La clientela del caffè rispecchia gli abitanti di Ras Beirut, un quartiere più che unico dove abitano druzi, cristiani e musulmani. È un microcosmo della società beirutina, dove si può trovare di tutto: dal ricco al povero, dall’intellighenzia culturale ai membri dell’élite politica della città. Mentre la costa veniva lentamente monopolizzata da resort privati, il Café Rawda è diventato uno spazio pubblico che offre a tutti l’accesso al vento che viene dal mare e al tramonto”.

Negli anni diventa presto il punto di ritrovo di artisti e intellettuali: lo frequentano il poeta siriano Nizar Qabbani, la cantante algerina Warda al-Jazairia, il cantante egiziano Abdel Halim Hafez e, più di recente, la popstar libanese Haifa Wehbe.

E oggi?

“Molti giornalisti e professionisti nel campo dei media vengono qui per bere un caffè prima di andare in redazione o nei loro uffici. Poeti, scrittori e registi contemporanei libanesi, è qui che trovano la giusta concentrazione e solitudine per scrivere”,

riporta Brownbook.

Ma più di ogni altra cosa, il Café Rawda rappresenta per gli abitanti della città una boccata d’aria pura e rilassante, lontano dall’inquinamento acustico e ambientale che soffoca Beirut.

Tra i tavoli sparsi nell’ampio giardino affacciato sul mare (la vista al tramonto è una piccola chicca), adornato da bouganville, gelsomini e piante di ogni tipo, i clienti del locale sorseggiano le famose limonate alla menta, sfumacchiano il narghile, giocano a tawla (ovvero il backgammon). Tutto rigorosamente alcol-free, con buona pace di chi ricorda che un tempo, invece, si potevano bere birra e araq.

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Non ci sono i giovani hipster di Ashrafieh o la confusione di Hamra: ci sono famiglie, anziani, coppie. C’è chi scrive, chi legge, chi mangia mezzeh, chi fa gli occhi dolci all’amato/a, ci sono bambini che sfrecciano sui tricicli, ci sono veli neri, bianchi, colorati, ci sono donne con il velo accanto a donne senza velo, ci sono donne truccatissime e con il naso all’insù, mariti che prendono in braccio i bambini facendoli volteggiare in aria con sprezzo del pericolo, nonne che corrono affannate appresso ai nipotini che hanno appena cominciato a camminare.

Si può guardare il sole, che al tramonto diventa di un rosso vivido e luminoso e poi si tuffa nel Mediterraneo lasciando il posto alla luna, che irradia la sua ombra lucente e argentata su quel mare che è di tutti ma che a Beirut non si vede, perché club privati, hotel di lusso e cantieri infiniti lo hanno reso inaccessibile ai più.

L’arredamento e la struttura di questo caffè un po’ vintage, un po’ nostalgico e un po’ di tutti non sono cambiati negli anni: i figli del vecchio proprietario hanno deciso di mantenere intatta l’atmosfera del caffè, così come il menu. Il ristorante si serve ancora dalla stessa macelleria e pescheria della zona. E i clienti apprezzano: “Veniamo qui da 30 anni, fumiamo il narghile e guardiamo passare le belle donne” – ha detto Abdallah Darghoush al cronista di Brownbook.

A parlare di spirito del Rawda è la madre dell’attuale proprietario: “Questo caffè è diventato parte di me. È l’unico posto che non è cambiato a Beirut. Dopo tutti questi anni, ha ancora lo stesso spirito”.

Quindi sì, in realtà sono io che ho parlato di spirito di Beirut. Ma dite che ho fatto male?

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