Se la letteratura è orientalista

Spiace, e molto, dover ritornare sul programma Anime arabe del prossimo Salone del Libro di Torino. Spiace perché questa storia mi ha personalmente affaticata, ma francamente alcune recenti esternazioni apparse su vari media mi hanno lasciata molto perplessa e infastidita.

Secondo il direttore del Salone (articolo apparso su La Lettura del Corriere della Sera, domenica 8 maggio)

“La letteratura araba nei festival e nelle rassegne occidentali è spesso rappresentata dai romanzieri, sulla scia di un certo orientalismo un po’ limitato”.

Nello stesso articolo, Paola Caridi dice:

“Le anime arabe del lingotto sono anche anime poetiche. In questo senso lo sforzo del programma è stato quello di offrire un canone poetico, al di là delle rappresentazioni occidentali che tendono a mettere al centro il romanzo”.

Ancora Paola Caridi ad ansamed afferma:

”Tentando di evitare che si cada in un altro tipo di orientalismo, quello che considera gli arabi soltanto per la loro cifra letteraria”, come spiega all’ANSA Paola Caridi, che aggiunge: volevamo portare le idee, non soltanto la letteratura, e offrire un altro punto di vista sulla regione”.

Infine, secondo Paola Caridi e Lucia Sorbera:

“Siamo ormai di fronte a una pluralità di generi, in cui la prosa spazia nelle graphic novels e la poesia nella musica hip-hop. Non è sincretismo e non è relativismo. È un modo, anzi, per evitare di scivolare in una sorta di singolare orientalismo, per il quale la regione araba si guarda come un oggetto speciale. Un oggetto che produce solo romanzi e poesie, e che non ha, invece, una produzione umanistica a tutto tondo”.

Quindi se ho capito bene: l’importanza data al romanzo arabo è un’impostazione occidentale; i festival culturali che invitano gli scrittori arabi sono viziati da orientalismo; la letteratura non porta idee; nei festival italiani si invitano sempre e solo i romanzieri arabi a scapito di tutti gli altri artisti.

Ci sono molte cose sbagliate in queste affermazioni, che proverò ad analizzare qui di seguito.

Il romanzo arabo non è un’invenzione/rappresentazione occidentale: da quando esiste come genere, è stato largamente esplorato dai letterati arabi, che da sempre lo hanno arricchito e contaminato con influenze linguistiche, letterarie e stilistiche diverse. Oggi il romanzo arabo ha acquisito uno status rilevante nel campo culturale arabo: della sua importanza hanno discusso, per esempio, decine di scrittori arabi a Beirut ultimamente. E come non citare i premi letterari arabi ad esso dedicato, in primis il famoso “Booker arabo”, fino ai tantissimi premi letterari nazionali, o le traduzioni in decine di lingue in tutto il mondo.

Accostare la promozione della letteratura araba all’orientalismo è cosa alquanto grave, laddove per orientalismo si intende uno sguardo eurocentrico, stantio e venato da pregiudizi sulla regione araba, mentre per promozione della letteratura araba si intende sostenere e far conoscere, attraverso la traduzione, gli scrittori arabi e le loro opere ad un pubblico non arabo. La presenza in Italia di questi autori è il frutto di un lavoro serratissimo di promozione culturale portato avanti da traduttori, editori, docenti universitari, giornalisti, organizzatori di festival e promotori culturali di vario genere che di orientalismo non hanno proprio nulla.

I festival letterari e culturali italiani (compreso il Salone del Libro di Torino, vorrei ricordare a Ferrero) da anni invitano i letterati arabi (romanzieri E poeti), che sono ospiti di rilievo e dignità come i letterati di qualsiasi parte del mondo.

Per fare alcuni nomi noti recenti: quest’anno lo scrittore siriano Khaled Khalifa è stato al Festival Incroci di Venezia e al Middle East Film di Firenze; lo scorso anno, Internazionale a Ferrara ha invitato gli autori iracheni Hassan Blasim, Inaam Kachachi e Ahmad Saadawi; sempre Internazionale due anni fa aveva ospitato il libanese Elias Khoury e Adania Shibli, palestinese. Festivaletteratura di Mantova negli anni ha invitato (cito a memoria ma ce ne sono molti altri): i palestinesi Suad Amiry, Mourid Barghouthi (che è un poeta), gli egiziani Ahdah Soueif e Ahmed Mourad, la marocchina Jamila Hassoune, l’algerino Kamel Daoud. Al festival della letteratura mediterranea di Lucera sono invece stati ospiti, tra gli altri, il libanese Jabbour Douaihy e la poetessa siriana Maram al Masri; a Cremona, al Festival Corde dell’Anima, anni fa erano stati invitati tre poeti emiratini; ancora a Incroci hanno partecipato il tunisino Habib Selmi, la libanese Hoda Barakat, il siro-libanese Adonis (che è un poeta), il franco-libanese Amin Maalouf. Il Festival Sabir di Messina lo scorso anno ha invitato l’egiziano Sonallah Ibrahim. Non solo i festival culturali e letterari, ma anche le librerie partecipano alla creazione di un dibattito letterario e intellettuale che mette al centro gli autori e le loro opere: alla Libreria Griot di Roma,  sono passati moltissimi autori, dal sudanese Amir Tag Elsir all’egiziano Ezzat el Kamhawi; la Feltrinelli di Roma lo scorso anno ospitò l’egiziano Alaa al-Aswani.

Dunque tutti questi Festival sarebbero viziati da orientalismo un po’ limitato?

E che dire di questo blog, che si occupa di letteratura araba? Sono orientalista anche io?

E all’estero che succede?

Nel mondo anglofono, per esempio, la rivista letteraria Banipal, traduce in inglese gli autori arabi e fa un’opera di dialogo interculturale fondamentale. Il Festival Shubbak di Londra, lo scorso anno, all’interno di una fantastica programmazione culturale dedicata a tutte le arti dal mondo arabo, ha inserito una tre giorni dedicata solo agli autori arabi culminata in una stupenda lectio – affollatissima – di Elias Khoury. E ancora: la scorsa settimana il MuCEM (Musée des civilisations de l’Europe et de la Méditerranée) di Marsiglia ha dedicato 5 giorni alla città di Beirut raccontandola attraverso alcuni dei suoi autori contemporanei più noti. La settimana prossima, il Museo Sursock di Beirut ospiterà un convegno di scrittori che verranno da più parti del mondo per discutere di conflitti, migrazione e identità “dal punto di vista innovativo, unico e senza vincoli tipico della letteratura”. Più o meno in ogni paese arabo, dal Marocco all’Arabia Saudita, infine, si organizzano ogni anno fiere del libro e festival letterari, dove intervengono autori locali, dalla regione araba e da tutto il mondo.

E poi c’è un’altra questione da sottolineare: i festival italiani che ho citato prima non hanno invitato solo gli scrittori arabi in passato, ma anche: blogger, giornalisti, disegnatori, musicisti, commentatori, chef, artisti, graffitari, editori, fotografi, cineasti, attori e attivisti proprio perché sono tutti consapevoli di quanto la regione araba sia culturalmente vivace ed eclettica. Sono decine e decine gli esempi che potrei fare di festival culturali che si svolgono in Italia e all’estero, e a cui partecipano scrittori, artisti e intellettuali arabi in cui la letteratura convive perfettamente con le altre arti senza che nessuno si sia mai sognato di definirla “orientalista”.

Forse converrebbe ragionare sul fatto che, ad esempio, nel nostro Paese non esiste un Festival letterario dedicato alla letteratura araba (ma ne esistono per quella mediterranea, francofona, ebraica, della migrazione, etc.), mentre invece sono moltissime e diverse le realtà che portano in Italia le produzioni culturali a tutto tondo dal mondo arabo, dove c’è anche la letteratura.

Quindi perché svilire la promozione della letteratura araba e i festival bollandoli come “orientalisti”? Viene il dubbio che questa operazione serva a nascondere le evidente pecche di un programma dove i romanzi presentati non sono opere di altissima qualità e dove la grande assente è proprio la letteratura araba – e parliamo del Salone del Libro, non dimentichiamocelo – che è stata sostituita da una valanga di incontri di politica e attualità, che ancora una volta mescolano i piani della letteratura, della religione e dell’attualità politica della regione araba, senza soluzione di continuità.

Poi però non lamentiamoci se il pubblico italiano fa confusione quando si parla di “mondo arabo”.

(in copertina, quadro di Delacroix)

8 commenti

  1. MMMM il romanzo arabo sarebbe frutto dell’orientalismo e la poesia no? ma che fregnaccia… sento puzza di Cultural Studies, ma qualcuno ha capito fischi per fiaschi!!
    ” lo sforzo del programma è stato quello di offrire un canone poetico” be’ che un Salone del libro possa stabilire un “canone poetico”, questo mi risulta nuovo!!
    Alle signore e ai signori che affermano ciò, suggerirei di leggersi qualche romanzo di autore/autrice arabi/e… tipo Hoda Barakat per fare solo un nome femminile e Ghassan Kanafani, per un nome maschile. E poi ne riparliamo.
    Ma che strano che Sorbera dica ciò, proprio lei che è coautrice di un volume che s’intitola “Modernità arabe. Nazione, narrazione e nuovi soggetti nel romanzo egiziano”.
    E poi quali sarebbero le idee portate al Salone??? “volevamo portare le idee, non soltanto la letteratura, e offrire un altro punto di vista sulla regione”. Il libro “Violenza e Islam”??? complimenti!!!
    E ultimo, ma perché, mi chiedo da anni, gli arabisti (italiani) litigano sempre tra loro (forse che imitano gli stessi arabi?!?) anziché lavorare insieme per far conoscere meglio il mondo arabo e superare pregiudizi e luoghi comuni?
    E perché quando in Italia ci si occupa di arabi ci si affida sempre alle persone sbagliate?
    E perché emeriti giornalisti che non sanno una cicca di arabo continuano a proclamarsi “esperti” di mondo arabo?
    Le cose vanno così come devono andare, diceva una canzone…
    Solo un appunto, ovvio che io mi “fido” di quanto scrive Chiara… ma magari Chiara se ci dai anche i riferimenti di questo estratto,” secondo Paola Caridi e Lucia Sorbera: “Siamo ormai di fronte…” ne sarei contenta…

  2. per letteratura araba io (e non solo) intendo opere scritte in arabo, non in francese o inglese, anche se l’autore/autrice vive nel mondo arabo. ben jelloun, sansal & company non fanno parte della letteratura araba. non chiamateli “anime arabe”, a prescindere dalle ragioni dell’uso di quelle lingue…

    • non sono d’accordo con Aldo.
      Allora straordinari scrittori africani come Amadu Hampate Ba, Ken Bugul, In Koli Jean Bofane, Wole Soyinka, che scrivono in inglese e francese non sono da considerarsi scrittori africani????!!!
      In Koli Jean Bofane (scrittore congolese che vive in Belgio) ha detto a una conferenza che lui scrive in francese ma con il ritmo della sua lingua madre!!!
      Sono una ricchezza autori e autrici che scrivono in un’altra lingua, prendi la Djebar, non la consideri un’autrice araba? purtroppo non c’è più ma posso immaginare cosa ti avrebbe risposto…
      Non è questo il punto da criticare del Salone del Libro…

      • arabismo, arabità sono concetti che attengono allì’identità culturale, che si esprime nella lingua che ci abita e che abitiamo, se tu ti esprimi in francese, ti posso mettere nella letteratur italiana? ovviamente no, anche siamo entrambi europei, italiani e francesi. bisogna stare attenti alle etichette, e alla ricezione delle opere, chi le legge, chi le riceve.se Bofane scrivesse nella sua lingua madre, non sarebbe conosciuto in Belgio, ma avrebbe forse un pubblico locale, ma non conosco la realtà dell’africa subsahariana
        su Asia Jebbar,dovresti sapere che era kabila, idem katen yassine ed altri, cioè non arabofona,molti cabili rifiutano, giustamente, direi, la lingua araba, e si offenderebbero se li chiamassi arabi,

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